... per non scadere nella mediocrità.

05 giugno 2006

IL SALVAGENTE

Già la parola è rassicurante. strumento salvifico che ti impedisce di affogare, colare a picco, perderti e cancellarti in una materia nella quale potresti sopravvivere solo scalciando. e non puoi farlo a lungo. così ecco il tema della discussione: qual’è il vostro salvagente? nella materia incessante che è la vita, cosa vi salva, cosa vi permette di respirare, stando a galla? è un così semplice strumento ma l’avete trovato, qualcuno ve l’ha lanciato o state ancora scalciando, annaspando? identificarlo non è cosa semplice. io l’ho fatto abbastanza tardi (a mio avviso) o forse una serie di circostanze hanno permesso il suo manifestarsi. la mia ricerca si concentrava allora su qualcosa che portasse ad un superamento, meglio annichilimento del limite e la mia forma mentis (uso questo termine perché ne ho molto rispetto) da adolescente liceale mi impediva anche il solo prendere in considerazione un’ipotesi che no fosse così radicale. sarebbe stata una sconfitta. il limite. Aristotele magari direbbe che è quella data cosa per cui prima esiste qualcosa e dopo di essa esiste qualcosa di diverso. in questo caso il qualcosa di diverso è proprio il nulla. il tentativo era quello di cercare qualcosa che mi proiettasse fuori dalla condizione ontologica di animale conscio del proprio destino. schopenhauer ci chiamava animali metafisici proprio per questo nostro triste destino che ci costringe a trovare una spiegazione davanti allo stupore dell’esistenza che sappiamo, dovrà avere fine. rimanendo nell’orizzonte di schopenhauer da questo bisogno nascono due opposti sistemi di metafisica: l’una popolare consolante (la religione), l’altra elevata (la filosofia). ed ecco delimitato l’orizzonte (insisto su questa parola perché ha in sé la fierezza della verità) nel quale ha avuto luogo la ricerca: la filosofia. non perché sia elevata a dispetto del consolante ma più semplicemente perché l’una si propone di cercare la verità in sé e da lì dunque il pensare; l’altra fuori da sé e dunque il credere. io, ho qui con me il mio corpo, so che è un mezzo, anche più potente di quel che credo, mi occorre di guardarci dentro e così facendo di superarlo nella sua unica necessità. ed ecco che qui viene lanciato il salvagente. cosa mi permette il superamento? il solo pensare mi sputa fuori dalla mia condizione? non volendo passare metà della vita chiusa a chiave in una stanza come cartesio a pensare, forse la soluzione stava nel vedere cosa nel flusso dell’esistenza non ti lasciasse altra via di scampo. facciamoci aiutare dalle immagini. viandante in un mare di nebbia. caspar david friedrich. quest’uomo non è più solo materia e complessi meccanismi chimici, ha superato tutto questo e lascia il corpo in attesa di riassorbire il suo pensiero. il bello. quel guizzo dell’esistenza manifesta che bisogna imparare a scoprire. quei dettagli la cui riflessione ti scagliano fuori dalla tua stessa natura. e qui il dubbio. a questo punto del nostro discorso, si tratta ancora di superamento del limite o si tratta di assorbimento del limite e dunque spostamento? se io, individuo che esperisce attraverso la sensibilità e dunque il mio stesso corpo, esercito il pensare non divento altro da me e dunque non sorpasso un limite ma assorbo il mio limite ontologico in un me che non può tradire la sua natura ma comprendere per un attimo la totalità, quell’orizzonte nel quale mi muovo. schiller sosteneva che per educare alla totalità l’uomo bisogna educarlo alla bellezza che è la sintesi di sensibilità e intelletto. la bellezza è il mio salvagente e la filosofia lo strumento che mi permette di capire come "gira l’anima dentro e in cosa tuttavia inciampa". a volte i limiti sono orizzonti nei quali è inevitabile e ineluttabile muoversi.