Recensione del romanzo City.
Il romanzo nel suo complesso ricalca lo stridore metallico che genera il contatto tra l’individuo geniale, e la prosaicità del mondo che lo circonda. Una forte incompatibilità resa con le unghia dell’ironia su una tavoletta di plastilina: la componente del sarcasmo graffiante, decisiva nell’effetto di incisività che Baricco vuole imprimere alla propria argomentazione, lascia contuso il lettore fino alle midolla, lo scuote. E’ soprattutto in alcuni capitoli che l’ironia si fa amara denuncia dei meccanismi mediocri che regolano la civiltà urbana. Alcune pagine diventano la triste parodia degli ambienti mass-mediatici, che l’autore, attento osservatore, si diverte a ritrarre con la bocca sporca di bile sulla quale affiora un sorriso di compatimento. E i personaggi di quei siparietti sono talmente veri da sembrare dejavù. Il direttore commerciale della CRB, il classico bambino divenuto adulto all’anagrafe quasi per magia, “un uomo tranquillo che aveva una sola passione: i trenini elettrici”; una persona di così basso spessore da ideare un sondaggio per decidere se far morire o no un personaggio dei fumetti. La giornalista che intende fare un servizio su Gould, icona dei mercanti di sentimenti del piccolo schermo, con i suoi toni lacrimevoli e patetici e i suoi sguardi accondiscendenti e compiacenti, frutto di anni di esercizi allo specchio. Il fiore all’occhiello dei personaggi che incarnano la mediocrità è senz’altro Vack Montorsi. Il conduttore dello special del Venerdì sera passa in rassegna il filmato della giornalista cerca-scoop, la quale, vedendo insoddisfatto il proprio superiore gli dichiara che “c’è uno che piange”. Questo, senza preoccuparsi dell’intervista ma utilizzando come unico parametro per l’idoneità alla messa in onda la quantità di lacrime versate, liquida la pellicola con un “tutto qui?”; e la storia di un genio viene sostituita con uno special su quattro gemelli inglesi che si erano scambiati l’identità. La polemica verso il mondo dello show business è feroce: Baricco denuncia la logica dei sentimenti a telecomando che domina il piccolo schermo, l’ottica dell’audience ad ogni costo, che porta a storpiare certe verità in nome della bizzarria, della stranezza, della novità accalappia-pubblico. Il fruitore del prodotto televisivo anela spasmodicamente al colpo di scena nella misura in cui avverte la propria frustrazione nel milieu urbano; la tendenza all’omologazione, alla piattezza, all’ordine e alla regola inibisce le naturali pulsioni e l’individuo è indotto a cercare nella televisione una fuga dal gretto presente per approdare in un mondo dove trovano soddisfazione i principali bisogni. Divertente anche la scena nella paninoteca, dove comprare due cheeseburger, due succhi di arancia e una torta sembra un’impresa. Dietro ogni scelta si nasconde l’ Offerta Promozionale irrinunciabile, quella che se la rifiuti sei un cretino, perché loro l’hanno fatta apposta per te. E’ un orizzonte di trovate pubblicitarie, di concorsi a premi, estrazioni fortunate. Tutto è semplice meccanico inquadrato, non si mangia del cibo ma delle mere “combinazioni” numerate progressivamente. L’individualità è inibita, l’eccezionalità camuffata da azioni stagnanti, fissili, marmoree, ridotte ai minimi termini per non affaticare il cervello. Ogni aspetto asseconda la logica consumistica, e non puoi privarti del piacere di possedere di più allo stesso prezzo. Ogni angolo del locale è felicità sintetica, chimica, un Eden di lucine, clown, quiz, colori e musica. Sono pillole di felicità stroboscopica, che il palato raffinato del cretino medio gradisce: ha bisogno di essere bombardato di sensazioni, in un culto estetizzante della novità ad ogni costo. A ben guardare l’intero romanzo procede per strutture binarie: da quella principale Gould-City determina lo scheletro dell’opera, agli incastri secondari Gould-Shatzy, Diesel-Poomerang, trama Western - trama Boxe, e gli episodi paninoteca - ristorante cinese. L’episodio avvenuto in un ristorante cinese in occasione del quattordicesimo compleanno di Gould è quindi il secondo tassello dell’incastro binario che ha come sfondo un luogo di pubblica ristorazione. Baricco intende ritrarre gli stridori che si covano in seno alla famiglia borghese, le ipocrisie generate dall’insicurezza, dal timore del fallimento. Il padre di Melania è una persona fragile che ha ricevuto un rigido indottrinamento e che ora vede nella figlia la possibilità di una ritorsione ai modi aspri dei propri genitori. Si erge a pater familias tutto d’un pezzo, ma la sua autorità è destinata a sbriciolarsi urtando contro il buon senso della moglie. Il realismo materialista sfocia in bieco pessimismo verso l’istituzione famigliare, nucleo sociale dove trovano sfogo le più bestiali pulsioni dell’uomo. Le frustrazioni del singolo vengono scaricate sull’individuo più debole, e l’educazione dei figli si trasforma in uno sterile esercizio di autorità, nella dimostrazione di potenza: le conseguenze immediate sono il rancore, il risentimento, le tensioni. Prima di tutto ciò “City”è però il romanzo di Gould: i filoni narrativi secondari si dipanano dalla sua figura, dal suo ruolo all’interno dell’opera; gli stessi Shatzy Shell, Taltomar e Mondrian Kilroy appartengono a quel sistema di personaggi che una felice perifrasi pirandelliana definirebbe “i forestieri della vita”. Ognuno di essi ha un escapement psicologico dalla City e dal suo mondo. E’ istintivo il bisogno di oltranza, di evasione per cercare un contatto più autentico e sobrio con l’Anima del mondo. Questi personaggi hanno un canale cognitivo privilegiato in cui la realtà parallela, nella sua camaleontica mutevolezza, affiora ad intermittenza dalle feritoie della bieca materialità. La città diviene per loro una “foresta di simboli” in cui