... per non scadere nella mediocrità.

24 novembre 2010

Life in technicolor
ovvero perché Rodney Smith ha capito esattamente il significato della fotografia in bianco e nero.

Da sempre, la fotografia porta con sé una falsa pretesa di realtà per la sua dovizia di dettagli, ma cosa succede quando diventa una verità senza colori? Che si crea un paradosso, forse un inganno o forse semplicemente qualcosa che di reale ha solo delle forme precise e soprattutto note. La fotografia in bianco e nero è una mezza verità perché è lirica. Si presenta alla stregua di una poesia davanti ad un racconto, è una narrazione per sottrazione. Una sottrazione che mentre toglie obbliga ad aggiungere. Ed ecco che lascia spazio all'immaginazione, le fornisce le linee guida per la costruzione di un oltre-mondo che è anche un non-mondo. E' forse con la fotografia in bianco e nero che la fotografia riesce a togliersi dalle spalle quel legame di cieca fedeltà al reale che erroneamente l'accompagna da quando è nata. In particolare Rodney Smith coglie nel segno. La sua è fotografia surreale. E ovviamente quella meglio riuscita è in bianco e nero. Toglie il fiato, tira gli angoli della bocca, fa irrimediabilmente pensare alle donne a cassetti, ai baffetti di Dalì, a Man Ray e intanto obbliga a costruire un quasi-mondo, qualcosa che ha le forme del reale ma ne è fortunatamente lontano. Studente di Walker Evans, ora si dice lavori a New York ed è certo, il suo nuovo libro, The End, costa settecentocinquantadollari ai quali vanno ne vanno aggiunti 60 per far arrivare una delle 1000 copie in Europa. Un'esorbitante meraviglia. Gli scatti a colori sono pochi e sono solo belli, lo stupore risiede altrove, dove manca il colore. E con lui la cieca fedeltà al reale.

L'unica forma di bugia al di sopra di ogni rimprovero è quella detta per il solo piacere di dirla.
Oscar Wilde