... per non scadere nella mediocrità.

23 giugno 2006

Tentativo di risposta ai commenti sul post W L'Italia

In ossequio alla convinzione che l'approccio relativista e poliprospettico sia quello più mirato per un'indagine in questioni di carattere umanistico, ritengo che ognuno sia stato in ogni caso portatore di una analisi condivisibile.
Nel post del 19 maggio ho messo in luce quello che secondo me è un processo involutivo della società italiana. Nel rapido quadro che ho tracciato mi sono limitato a lambire i malesseri e le istituzioni che ne sono colpite senza fornire una disamina documentata a supporto delle mie tesi; questo perchè la ricettività e l'attenzione che ho riservato nei mesi passati a tali disamine documentate, di carattere giornalistico o extragiornalistico, ho provato a sintetizzarle in un'idea strutturale della situazione. Da questo bagaglio di conoscenze e di fatti meditati, viene fuori un'Italia in transizione, in mutamento. La situazione che ho delineato è in evoluzione: sarebbe infantile pensare ad una degenerazione perentoria, quando la storia insegna che ogni cambiamento è frutto di un processo (Hegel a questo proposito parla di tesi, antitesi, sintesi). Pensando all’intervento di Marchesini, mi sento in totale sintonia con lui nel ritenere l’Italia dell’immediato dopoguerra una terra tutt’altro che edenica. Basti pensare che in alcune aree disagiate si continuava a fare la fame, che le frange dell’estremismo politico di stampo fascista e comunista, minavano ogni equilibrio; senz’altro non mancavano ciarlatani e imbonitori, il potere temporale della Chiesa era più vivo di adesso, la criminalità organizzata pilotava le elezioni in varie parti del Sud. Sono ben consapevole di questo. Se si considera però che la classe politica è lo specchio di una società, l’espressione di una scala di valori radicata nel popolo, non posso esentarmi dal constatare la superiorità morale dei politici del passato. Quelli di allora intorno allo stesso tavolo a scrivere la Costituzione, mentre oggi la si cambia a colpi di maggioranze (parlo di entrambi gli schieramenti perché il primo cambiamento della Costituzione a maggioranza è stato introdotto dal governo D’Alema). Penso a Togliatti in ospedale che intima ai sovversivi del Partito Comunista di non agire d’impulso e di non destabilizzare l’ordinamento repubblicano. Penso a De Gasperi a cui la Santa Sede propinava un’alleanza con l’MSI per le elezioni amministrative a Roma; egli è fermamente contrario e non volendo scegliere se disobbedire al Papa o alle sue idea si dice disposto a lasciare la guida della DC e con essa la Presidenza del Consiglio. In quegli anni non si sarebbero mai sognati di far sedere in Parlamento persone condannate dalla giustizia ordinaria e se uno scandalo colpiva un uomo di Stato si levavano commenti di sdegno da parte di tutti, altro che garantismo.. La televisione era diversa, era migliore. Chi poteva permettersene una guardava i film di Gassman e di Rosselini, gli spettacoli di Mina e di Gaber. Insomma dall’altra parte dello schermo ci stavano artisti dotati di grandi qualità; nulla era lasciato al caso e si prestava grande attenzione a non confezionare un prodotto scadente.
Non posso obiettare che il retaggio antropologico non pesi sull’odierna situazione italiana. Pur deplorando ogni forma di generalizzazione, a mio avviso l’unico vero idolum fuorviante in un’analisi di questo tipo, mi sento di condividere il punto di vista di Pasolini che bolla gli italiani come moralisti e qualunquisti, laddove queste tare sono di carattere antropologico. Alla base di tutto ci sarà sicuramente un forte sostrato antropologico, ma ricondurre tutto a quello credo che sia altrettanto riduttivo che non tenerne conto. Le scorie della storia con i suoi capipopolo, le prevaricazioni, le prepotenze, le illusioni degli intellettuali, i morti, illustri e meno, sono le variabili che temprano un popolo donandogli una forma in perenne divenire. Questi caratteri si sedimentano su un solido fondo antropologico realizzando un connubio che materializza la fisionomia di uno Stato. E di chi lo abita. Mi rifiuto di assumere una visione che considera unicamente i comportamenti umani come un' ineluttabile esplicazione di vizi connaturati al proprio retaggio antropologico. Oltre a quanto detto un’ottica di questo tipo non concederebbe all’uomo nessun margine di manovra e renderebbe ineluttabile e quasi fatale ogni suo comportamento, sia che si parli di singolo, sia che si parli di collettività, di popolo. Sono fermamente convinto che l’Italia e gli italiani possano insorgere e ribellarsi dia malesseri che li debilitano, e la ribellione deve essere un processo quotidiano, una testarda e cinica aspirazione alla virtù senza punte di sterile slancio volontaristico. In questo sono d’accordo con l’ultimo anonimo (puoi dirmi chi sei?) che tra le righe si appropria di un insegnamento che Kant impartisce nelle Critiche e che può essere sintetizzato nel motto: “ Bisogna vivere come se ogni uomo vivesse come noi”. La mia preoccupazione è che a tale tenace tendenza al cambiamento del singolo deve corrispondere un forte moto di spinta corale e all’unisono della collettività. Solo così si riuscirebbe a non vanificare ogni istanza di miglioramento; ed è proprio questo elemento di pluralità che mi rende pessimista.

05 giugno 2006

IL SALVAGENTE

Già la parola è rassicurante. strumento salvifico che ti impedisce di affogare, colare a picco, perderti e cancellarti in una materia nella quale potresti sopravvivere solo scalciando. e non puoi farlo a lungo. così ecco il tema della discussione: qual’è il vostro salvagente? nella materia incessante che è la vita, cosa vi salva, cosa vi permette di respirare, stando a galla? è un così semplice strumento ma l’avete trovato, qualcuno ve l’ha lanciato o state ancora scalciando, annaspando? identificarlo non è cosa semplice. io l’ho fatto abbastanza tardi (a mio avviso) o forse una serie di circostanze hanno permesso il suo manifestarsi. la mia ricerca si concentrava allora su qualcosa che portasse ad un superamento, meglio annichilimento del limite e la mia forma mentis (uso questo termine perché ne ho molto rispetto) da adolescente liceale mi impediva anche il solo prendere in considerazione un’ipotesi che no fosse così radicale. sarebbe stata una sconfitta. il limite. Aristotele magari direbbe che è quella data cosa per cui prima esiste qualcosa e dopo di essa esiste qualcosa di diverso. in questo caso il qualcosa di diverso è proprio il nulla. il tentativo era quello di cercare qualcosa che mi proiettasse fuori dalla condizione ontologica di animale conscio del proprio destino. schopenhauer ci chiamava animali metafisici proprio per questo nostro triste destino che ci costringe a trovare una spiegazione davanti allo stupore dell’esistenza che sappiamo, dovrà avere fine. rimanendo nell’orizzonte di schopenhauer da questo bisogno nascono due opposti sistemi di metafisica: l’una popolare consolante (la religione), l’altra elevata (la filosofia). ed ecco delimitato l’orizzonte (insisto su questa parola perché ha in sé la fierezza della verità) nel quale ha avuto luogo la ricerca: la filosofia. non perché sia elevata a dispetto del consolante ma più semplicemente perché l’una si propone di cercare la verità in sé e da lì dunque il pensare; l’altra fuori da sé e dunque il credere. io, ho qui con me il mio corpo, so che è un mezzo, anche più potente di quel che credo, mi occorre di guardarci dentro e così facendo di superarlo nella sua unica necessità. ed ecco che qui viene lanciato il salvagente. cosa mi permette il superamento? il solo pensare mi sputa fuori dalla mia condizione? non volendo passare metà della vita chiusa a chiave in una stanza come cartesio a pensare, forse la soluzione stava nel vedere cosa nel flusso dell’esistenza non ti lasciasse altra via di scampo. facciamoci aiutare dalle immagini. viandante in un mare di nebbia. caspar david friedrich. quest’uomo non è più solo materia e complessi meccanismi chimici, ha superato tutto questo e lascia il corpo in attesa di riassorbire il suo pensiero. il bello. quel guizzo dell’esistenza manifesta che bisogna imparare a scoprire. quei dettagli la cui riflessione ti scagliano fuori dalla tua stessa natura. e qui il dubbio. a questo punto del nostro discorso, si tratta ancora di superamento del limite o si tratta di assorbimento del limite e dunque spostamento? se io, individuo che esperisce attraverso la sensibilità e dunque il mio stesso corpo, esercito il pensare non divento altro da me e dunque non sorpasso un limite ma assorbo il mio limite ontologico in un me che non può tradire la sua natura ma comprendere per un attimo la totalità, quell’orizzonte nel quale mi muovo. schiller sosteneva che per educare alla totalità l’uomo bisogna educarlo alla bellezza che è la sintesi di sensibilità e intelletto. la bellezza è il mio salvagente e la filosofia lo strumento che mi permette di capire come "gira l’anima dentro e in cosa tuttavia inciampa". a volte i limiti sono orizzonti nei quali è inevitabile e ineluttabile muoversi.